LA VETTURALa leggenda dice che Ferruccio Lamborghini, stanco delle piccate risposte del Drake, decida un bel giorno di ...
Inutile snocciolare ancora una volta, l'ennesima, una storia conosciuta perfino dai sassi.
Fatto è che, nel 1965, il prototipo di ciò che sarebbe stata la Miura, ovvero il suo telaio, nominato TP400, compare al cospetto del grande pubblico al Salone di Torino.
Dallara e Stanzani, con Bizzarrini al motore, avevano fatto un gran lavoro, il pubblico approvò con un'ovazione di stupore e ... Bertone si offrì di vestire quel corpo, perfetto per una mise sportiva d'impostazione moderna.
Marzo 1966, Ginevra, solo quattro mesi più tardi esordisce in società la Lamborghini Miura P400. Segno che quel capolavoro fu il frutto di un lampo, di una illuminazione artistica, non di un'idea sviluppata, e appesantita, col tempo.
E' standing ovation! La Miura stabilisce nuovi riferimenti assoluti, in particolare sotto il punto di vista del design che, grazie al genio di Gandini, raggiunge livelli forse mai più avvicinati.
Meccanicamente non ha novità "geniali" ma la sua architettura, tipica delle auto da corsa, trova applicazione su una vettura in "libera vendita"; e questo le dona un appeal straordinario. Le prestazioni sono superlative. I difetti ci sono, ma passano in secondo piano: la sola visione dell'auto fa dimenticare ogni altra cosa.
Così come fa dimenticare in un attimo, la Miura, l'esistenza di ogni altra sportiva fino a quel momento agognata. E ogni riferimento alle Ferrari e tutt'altro che casuale.
Nel 1967, quando iniziano le vendite, la P400 è leggermente diversa
(modifiche di alcuni dettagli estetici e meccanici) rispetto all'esemplare proposto a Ginevra ma, in pratica, è quella che tutti conoscono, da sempre.
Nel 1968 nacque la P400S, versione potenziata e con alcuni dettagli di miglioramento estetico e meccanico.
Nel 1971 arrivò la P400SV, l'ultima evoluzione. La vettura riprodotta nel modellino qui presentato.
Beneficiaria delle esperienze fatte col prototipo Jota di Bob Wallace, la SV aggiunge potenza al suo motore, centimetri alla larghezza del posteriore ma, purtroppo, perde una caratteristica estetica distintiva che piaceva: la griglia che incorniciava i fari "sollevabili", quella che faceva pensare alle famose "ciglia", venne eliminata e sostituita da una banale verniciatura nera.
Nel 1974 arrivò la Countach.
Ferruccio Lamborghini iniziò così a disinteressarsi di auto.
La sua creatura assoluta aveva esaurito il suo compito, quello della Miura e quello del suo padre fondatore: essere stata, ed essere, l'auto Mito per eccellenza.
IL MODELLINOBrevemente, senza andare troppo nello specifico ma soffermandomi solo sugli aspetti principali, sul modello direi quanto segue:
Autoart, marchio di pregio dell'universo automodellistico, ha riprodotto la Miura, nella sua versione finale SV, in varie scale e serie; fra esse v'è n'è una, la serie Signature in scala 1:43.
Tale serie raccoglie modelli che, oltre ad essere completamente apribili, hanno dettagli e fattura superiore alla media.
La Miura SV è il modello che ha inaugurato la serie Signature 1:43 nel giugno del 2011, proprio nella livrea qui presentata: rosso con interni panna, longherone sottoporta e cerchi color oro.
Le aperture sono quasi totali con portiere, cofani (doppio quello posteriore) e sportello tappo carburante apribili; manca solo la possibilità di sollevare i fari
(peraltro troppo incassati) in posizione d'uso.
Per facilitare tali aperture, in particolare delle portiere, è fornito nel package del modello un attrezzo apposito, in plastica, rastremato da un lato a mo' di leva e formato al lato opposto come lente di ingrandimento per visionare le targhette, fotoincise, con i dati tecnici della vettura, applicate al motore e al telaio.
Gli interni sono sufficienti: non dimentichiamo che è una 1:43, non si possono fare miracoli, e la Miura è una sportiva anni '60, priva di fronzoli. Il volante, però, poteva essere realizzato meglio, con la corona più sottile e, forse, anche di maggior diametro: avrebbe restituito un impatto più realistico a tutto l'abitacolo.
La plastica di parabrezza e finestrini (quest'ultimi giustamente chiusi) è di adeguato spessore, ottima trasparenza e assolutamente privo di effetti di distorsione.
Le forme del modello reale appaiono ben restituite sia nelle dimensioni che, cosa ancora più importante nella riduzione in scala, nel rapporto tra i volumi e nell'andamento delle curve del disegno originario. Tutti i dettagli sembrano essere lì dove l'occhio, guidato dalla memoria, è spinto a cercarli. E quando si arriva ai cerchi si sorride di piacere: sono belli!
Il vano motore, il vano anteriore con i relativi "servizi", e i rispettivi telaietti di supporto delle meccaniche sono ben dettagliati, restituendo così una buona ricompensa visiva.
Le fughe tra le aperture sono abbastanza buone, piuttosto precise, ma, forse a causa dello spessore della vernice, risultano "arrotondate" e non dal bordo netto; questo crea un'impressione poco piacevole, di modellino e non di "realtà".
Altri piccoli peccati, peraltro veniali, sono la presenza di microcalamite che trattengono in chiusura portiere e cofani, cosa che cozza con la realizzazione di un modello realistico, e la difficoltà di trattenere i cofani in posizione aperta.
In finale questa Miura SV di Autoart è un modello di indubbio valore: un diecast composto da 468 parti tutte ben progettate, costruite e assemblate con cura quasi artigianale. Può piacere o meno la scelta delle aperture, che nel mondo dell'1:43, si sa, è da sempre fonte di discussioni animate: chi è nato e cresciuto con le M di Politoys non ci troverà nulla di scandaloso, gli altri si adegueranno o, più semplicemente, non la prenderanno sul serio.
Difficile però non riconoscere la bellezza che emana; grazie anche al soggetto riprodotto, ovviamente.
Ultima nota: il prezzo non è, coscientemente, misurato, con i suoi 146€ di listino. Non mi sembra completamente giustificato.
Fortunatamente, con un po' di pazienza, si può avere la fortuna di catturarlo, come è successo a me, con un pay di 87€.
Buona visione
La Miura SV è il modello che ha inaugurato la serie Signature 1:43 nel giugno del 2011, proprio nella livrea qui presentata: rosso con interni panna, longherone sottoporta e cerchi color oro.
Le forme appaiono ben restituite:dimensioni, rapporto tra i volumi e andamento delle curve del disegno originario.
Le aperture sono quasi totali con portiere, cofani (doppio quello posteriore) e sportello tappo carburante apribili; manca solo la possibilità di sollevare i fari in posizione d'uso.
I fari sono troppo incassati rispetto all'originale
Tutti i dettagli sembrano essere lì dove l'occhio, guidato dalla memoria, è spinto a cercarli
Il vano motore, l'anteriore, e i rispettivi telaietti di supporto, sono ben dettagliati.
Quando si arriva ai cerchi si sorride di piacere: sono belli!
Le fughe tra le aperture risultano "arrotondate" e non dal bordo netto.
Il volante poteva essere realizzato meglio: con la corona più sottile e un maggior diametro avrebbe restituito un impatto più realistico a tutto l'abitacolo.
Per facilitare le aperture, in particolare delle portiere, è fornito nel package del modello un attrezzo apposito